Ritornano l’autunno e le piogge e puntualmente ritorna a girare nel mio lettore ‘The unforgettable fire’ degli U2, anno 1984, vero spartiacque tra gli esordi post-punk della band irlandese e ciò che verrà dopo fino al berlinese ‘Achtung Baby’ e la riscoperta di quella teatralità esasperata tipica del Lipton Village in cui erano cresciuti pur senza attingervi a pieno.
Infatti fino a quel momento gli U2 non si erano distaccati dal sound
dei tanti gruppi del periodo e neppure dall’estetica: perciò se volete
ascoltare qualcosa di veramente originale andate alla voce Virgin
Prunes, autentici mentori dei nostri, il chitarrista Dik Evans è il
fratello maggiore di David al secolo The Edge, i cantanti Gavin Friday,
colui che appioppò il nomignolo Bono Vox a Paul Hewson, e Guggi il cui
fratellino Peter è il ragazzino che campeggia sulle copertine di ‘Boy‘ e ‘War’.
Il solco della darkwave dei Joy Division non fu seguito solo per
l’abbandono come produttore di Martin Hannett, annichilito dalla morte
di Ian Curtis. Era il maggio del 1980 e, negli stessi studi di
registrazione, gomito a gomito gli U2 registravano ’11 o’clock tick tock’ e ‘Touch’, i Joy Division ‘Love tear us apart’. Toccò quindi a Steve Lillywhite, dopo la defezione di Hannett, produrre il trittico ‘Boy’, ‘October’ e ‘War’.
Fu a questo punto e dopo il live ‘Under a blood red sky’
e il quasi video gemello del concerto alle Red Rocks che entrò in scena
il demiurgo Brian Eno. Inizialmente Eno è riluttante a produrre gli U2,
poi accetta e porta con sé l’allora sconosciuto musicista e tecnico del
suono franco-canadese Daniel Lanois.
Il disco viene registrato non in un asettico studio ma
nella meravigliosa cornice dello Slane Castle (sulla splendida
copertina del disco, realizzata da Anton Corbjin, campeggiano invece le
rovine del Moydrum Castle): The Edge è libero di dare sfogo a ogni
sperimentazione e effetti chitarristici, la musica diventa volutamente
sfocata guadagnando in mistero ed evocatività. Tolte l’hit da stadio ‘Pride (in the name of love)’
e legata ancora ai vecchi schemi dei primi dischi tutto il resto del
disco respira di questo nuovo afflato poetico dall’introduttiva ‘A sort of homecoming’ (da un verso del poeta Paul Celan, “la poesia è una sorta di ritorno a casa’”) fino alla conclusiva ‘MLK‘ (seconda dedica del disco al reverendo Martin Luther King).
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