Si intitola: “Leyfou Ljosinu“ – letteralmente “Lascia spazio alla luce”
– l’ultimo disco della violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir e
l’ultimo, in ordine di tempo, a far breccia in questo durissimo cuore
dalle orecchie sempre più dispotiche.
Siamo in territori molto più lontani ed artici rispetto alle sue più famose connazionali come Bjork o Emiliana Torrini (chi se la ricorda la figlia del pizzaiuolo autrice della delicata “Sunny road?).
Uscito per l’etichetta Touch,
la stessa del genio austriaco Christian Fennesz, la registrazione è
frutto di una performance di quaranta minuti tenutasi al Centro di
Ricerca Musicale dell’Università di New York in cui voce e violoncello
vengono manipolati elettronicamente in un continuo sovrapporsi di onde
sonore, quelle stesse frange di interferenza fotografate in copertina,
creando un paesaggio di aurore boreali e vulcani appena sopiti, di
geyser che sembrano rimandare continuamente il momento in cui
libereranno i loro impetuosi sbuffi di vapore.
Lascia spazio alla luce:
un lungo viaggio verso quei i cancelli dell’alba che un ben altro
pifferaio aprì molti anni fa. Il mio disco preferito di questo 2012 che
s’appresta a chiudere i battenti.
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