Si intitola:“Leyfou Ljosinu“ – letteralmente “Lascia spazio alla luce”
– l’ultimo disco della violoncellista islandese Hildur Guðnadóttir e
l’ultimo, in ordine di tempo, a far breccia in questo durissimo cuore
dalle orecchie sempre più dispotiche.
Siamo in territori molto più lontani ed artici rispetto alle sue più famose connazionali come Bjork o Emiliana Torrini (chi se la ricorda la figlia del pizzaiuolo autrice della delicata “Sunny road?).
Uscito per l’etichetta Touch,
la stessa del genio austriaco Christian Fennesz, la registrazione è
frutto di una performance di quaranta minuti tenutasi al Centro di
Ricerca Musicale dell’Università di New York in cui voce e violoncello
vengono manipolati elettronicamente in un continuo sovrapporsi di onde
sonore, quelle stesse frange di interferenza fotografate in copertina,
creando un paesaggio di aurore boreali e vulcani appena sopiti, di
geyser che sembrano rimandare continuamente il momento in cui
libereranno i loro impetuosi sbuffi di vapore.
Lascia spazio alla luce:
un lungo viaggio verso quei i cancelli dell’alba che un ben altro
pifferaio aprì molti anni fa. Il mio disco preferito di questo 2012 che
s’appresta a chiudere i battenti.
"la gente se ne stava sotto la pioggia di Soho in galloni dorati e copricapo a tamburello, in attesa di entrare. Cosacchi e regine si mescolavano allegramente e il narcisismo era alle stelle. Erano tutti quanti vestiti come sovrani, mentre in realtà si trattava di ex punk che si inventavano i vestiti sulle macchine da cucire della mamma, nelle loro casette di periferia, o nelle case occupate della vicina Warren Street" (Steve Strange, buttafuori del Blitz e cantante dei Visage)
Nate per vivacizzare il mortorio del giovedì sera le 'Bowie night' vivacizzarono le autunnali serate londinesi del '78 già stanche del punk. Inaugurate nel piccolo club Billy's si trasferirono nel febbraio del '79 al più capiente Blitz di Covent Garden. Il Blitz era di fronte alla sede dei Freemassons ed era circondato da sartorie che vendevano abiti da cerimonia massoniche. L'interno era decorato da grandi murali che ricordavano i bombardamenti tedeschi su Londra della seconda guerra mondiale.
Qui si riunivano tutti i punk che abbandonate le creste riscoprivano il look del glam tra berretti, divise, fusciacche e trucco a volontà. Il repertorio musicale andava dal cabaret tedesco degli anni trenta di Marlene Dietrich all'elettronica dei Kraftwerk passando ovviamente per quella di David Bowie. Il Blitz divenne ben presto popolarissimo e troppo pieno per contenere tutti: anche Mick Jagger dei Rolling Stone conobbe l'altolà del dispotico Steve Strange. Non gradì l'affronto e se ne andò offeso altrove.
Tra gli avventori fissi membri di tanti gruppi più o meno famosi e più o meno degni di essere ricordati: una sera arrivò portando lo scompiglio generale David Bowie in persona. A fine serata Bowie chiese a Steve Strange di comparire con altri clienti del club nel video che avrebbe girato l'indomani: sono loro quelli che seguono Bowie e a loro volta sono seguiti da una scavatrice nel video di 'Ashes to ashes'.
Colto da tanta popolarità lo stesso Strange con il compare Rusty Egan e il tastierista Billy Currie (poi Ultravox!) entrarono in studio di registrazione e realizzarono con l'estemporaneo moniker di Visage il singolo 'Fade to grey' subito balzato al secondo posto delle charts britanniche e al primo in nove paesi stranieri!
David Bowie: Ashes to ashes
Visage: Fade to grey
"Non molto tempo fa sono stato a Berlino, e attraverso il Muro ho dato uno sguardo a Berlino Est [...]; tutto mi appariva cupo e
grigio, strano, minaccioso. Subito dopo ho visto un uomo anziano
camminare stanco con un bastone. Sì, stanco e deluso dalla vita. È stato
in quel momento che l'idea di Fade to Grey aveva preso forma: entrare
nella vecchiaia, nell'oscurità, sprofondare nel niente. È questo ciò di
cui parla la canzone"(Steve Strange)
Ogni tanto devo riascoltare il primo disco dei Wolfango, un disco che non pretende niente nel suo ostentato e voluto analfabetismo musicale: autentico grado zero, vero sberleffo punk ad ogni pretesa di catalogoziane e/o classificazione e/o giudizio. Il disco uscito nel 1996 per l'etichetta dei C.S.I. è una sequenza di canzoni in cui gli unici strumenti sono un basso distortissimo e mezza batteria suonata nell'occasione da Bruno Dorella (protagonista anche con gli ottimi Ronin, OvO, Bachi da Pietra). Le voci del bassista Marco e della moglie Sofia più il figlioletto rompiscatole che all'epoca imperversava sul palco a rendere ancora più divertente ed esasperante il tutto. Scorie assortite di Nirvana e CCCP su testi demenziali non è dato sapere se di proposito oppure no.
"Raindrops on roses and whiskers on kittens / Bright copper kettles and warm woolen mittens / Brown paper packages tied up with strings / These are a few of my favorite things"
Tra il miele di Julie Andrews e il fiele di Lars von Trier (e il suo rapporto di odio e amore per Bjork), le decine di versioni di John Coltrane che allungò, deviò, scavò, dilatò in lungo e in largo la canzone composta per il musical di 'The sound of music' portato poi sul grande schermo nel 1965.
"Cream colored ponies and crisp apple strudels / Doorbells and sleigh
bells and schnitzel with noodles / Wild geese that fly with the moon on
their wings / These are a few of my favorite things!"
Julie Andrews (da 'The sound of music' di Robert Wise, 1965)
"Girls in white dresses with blue satin sashes / Snowflakes that stay
on my nose and eye lashes / Silver white winters that melt into spring /
These are a few of my favorite things!" Bjork (da 'Dancer in the dark' di Lars von Trier, 2000)
"When the dog bites, when the bee stings / When I'm feeling sad, / I simply remember / my favorite things / and then I don't feel so bad!"