"Fra le ville della costa di San
Juan, lungo lo stradone del Prado,
(saettavano i rimandi rossi dei loro vetri avverso il taciturno crepuscolo), c'era anche, piuttosto sciatta, e ad
un tempo stranamente allampanata, Villa Maria Giuseppina; di proprietà Bertoloni. Il crepuscolo, e il suo fronte
malinconioso e lontano, appariva striato, ad ora ad ora, da lunghe rughe orizzontali, di cenere e di
sanguigno. La villa aveva due torri, e
due parafulmini, alle due estremità d'un
corpo centrale basso e lungo; tanto da far pensare a due giraffe sorelle-siamesi, o incorporàtesi l'una
nell'altra dopo un incontro a culo
indietro seguito da unificazione dei
deretani. Dei due parafulmini, l'uno pareva stesse meditando un suo speciale malestro verso
nord-ovest, oh! una trovata: ma diabolicamente funzionale: e l'altro la
stessa precisa cosa a sud-est; e cioè
d'infilare il fulmine, non appena gli
venisse a tiro, sul « confinante » di destra: e l'altro invece su quello di sinistra: rispettivamente
Villa Enrichetta e Villa Antonietta.
Accoccolate lí sotto, in positura assai vereconda, e un po' subalterna rispetto
alle due pròtesi di Villa Giuseppina,
e gittate di chiaro, avevano quell'aria
mite e linfatica che vieppiú eccita, o ne sembra, il crudele sadismo
dell'elemento.
Questo
sospetto della nostra immaginosa tensione era divenuto scarica della realtà il 21 luglio 1931, durante
l'imperversare d'una grandinata
senza precedenti nel secolo, che
locupletò di pesos papel tutti i negozianti di vetri dell'arrondimiento.
Descrivere
lo spavento e i cocci di quella fulgurazione cosí inopinata non è nemmeno pensabile. Ma il diportamento scaricabarilistico dei due parafulmini ebbe
strascichi giudiziari, - subito
istradati verso l'eternità - tanto in sede civile, con rivendica di danni-interessi,
perizie tecniche, contro-perizie di parte, e perizie arbitrali, mai
però accettate contemporaneamente dalle due
parti; - quanto in sede penale, per incuria colposa e danneggiamento
a proprietà di terzi. E ciò perché
la causa appari, fin dal suo principio,
delle piú controverse. « Che ce ne impodo io », protestava il vecchio Bertoloni, un immigrato lombardo, « se quel ludro non sapeva neanche lui dove
andare? ». Il fulmine infatti, quando
capi di non poter piú resistere al suo
bisogno, si precipitò sul parafulmine piccolo; ma non parendogli, quella verga, abbastanza insigne per
lui, rimbalzò subito indietro come una palla demoniaca e schiantò su quell'altro, un po' piú lungo, della torre piú
alta, e cioè in definitiva
allontanandosi da terra, cosa da nemmen crederci. Lí, sul riccio platinato e dorato, aveva accecato un attimo il terrore dei castani, sotto la nuova veste
d'una palla ovale, - fuoco pazzo a
bilicare sulla punta, - come fosse-preso
da un bieco furore, nell'impotenza: ma in realtà sdipanando e addipanando un gomitolo e controgomitolo di orbite ellittiche in senso alternativo un
paio di milioni di volte al secondo:
tutt'attorno l'oro falso del riccio, che
difatti avea fuso, insieme col platino, e anche col ferro: e smoccolàtili anche, giú per la stanga, quasi
ch'e' fussero di cera di candela.
Poi sparnazzò un po' dappertutto sul tetto, sto
farfallone della malora, e aveva
poi fatto l'acròbato e la sonnambula
lungo il colmigno e la grondaia, da cui traboccò in cantina, per i buoni uffici
d'un tubo di scarico della grondaia
medesima, resuscitandone indi come un serpente, intrefolàtosi alla corda di rame del parafulmine
piccolo, che aveva viceversa
l'incarico di liquidarlo in profondo, sta stupida. E in quel nuovo
farnetico della resurrezione si diede tutto
alle rete metallica del pollaio retrostante il casamento della Maria
Giuseppina (figurarsi i polli!) alla quale metallica non gli era parso vero di
istradarlo issofatto sulla cancellata a punte, divisoria delle due
proprietà confinanti, cioè Giuseppina e
Antonietta: che lo introdusse a sua
volta senza por tempo in mezzo nella latrina in riparazione, perché
intasata, del garage dell'Antonietta, donde,
non si capì bene come, traslocò immantinente addosso alla Enrichetta, saltata a piè pari la Giuseppina, che sta in
mezzo. Ivi, con uno sparo formidabile, e previo annientamento d'un pianoforte a coda, si tuffò nella
bagnarola asciutta della donna di
servizio. Stavolta s'era appiattito per
sempre nella misteriosa nullità del potenziale di terra. - Furono le diverse perizie che via via permisero
di delineare, per successivi aggiustamenti, in un atlante di carta bollata, questo catastrofico « itinéraire ». Ciò
in un primo tempo. In un secondo
tempo, furono le perizie stesse a intorbidar
le acque, ossia a mescolar le carte, a un tal segno da rendere impensabile ogni configurazione di
percorrenza. Il muratore di villa
Enrichetta, con il buon senso proprio de'
paesani, affacciò una sua ipotesi, d'altronde plausibilissima: che l'ultimo
indietreggiamento del giallone, così lo
chiamò, fosse dovuto al fatto d'aver trovata intasata la canna della latrina; per cui non poté usufruire
del passaggio necessario a un tanto fulmine. Ma gli elettròlogi non ne vollero sapere d'una simile ipotesi, e
sfoderarono delle equazioni differenziali: che pervennero anche a integrare, con quale gioia del cav. Bertoloni si può
presumere.
Parallelamente a ciò, nel mito e nel folklore del
Serruchón si fece strada l'idea che
il pianoforte sia strumento pericolosissimo,
da carrucolar fuori in giardino senza perdere un istante, non appena si vede venire il temporale.
La
disgrazia, per il cav. Bertoloni, sarebbe stata ancora sopportabile, se durante l'elaborazione delle
perizie di parte e la celebrazione
d'un primo tentativo di procedura arbitrale,
a complicare maggiormente le cose, e a stroncar netta ogni speranza di composizione, un,secondo fulmine non fosse caduto sulle tre ville, omai affratellate
dalla « lubido » celeste; e cioè due
anni dopo la scarica della bagnarola,
nel giugno del '33. Chiamati ad ennesima perizia i piú occhialuti ingegneri elettrotecnici di
Pastrufazio, essi arrivarono in locum
una stupenda mattina di mezzo agosto,
con ogni sorta di strumenti in scatola, delicatissimi, e ohmetri e ponti di Wheatstone portatili, d'una
fragilità estrema: ma in quel giorno
si celebravano a Terepàttola le esequie
di Carlos Caconcellos, il grande epico maradagalese che era venuto a mancare due giorni prima, piombando nella
costernazione il mondo letterario, e i poeti epici in particolare misura. Sicché gli ingegneri, nella villa deserta, e privata anche del custode, non avevano
potuto combinar nulla. Da alcuni
anni il Vegliardo aveva in affitto la
villa, dove soleva trascorrere-la maggior parte dell'estate assistito dalla
fedele Giuseppina, educando rose e amaranti,
e pomidoro, nel « parterre » a occidente del terrazzo, ma rifiutandosi di adibir cure al pollaio: che giudicava, quella, banalità indegna del cantore di
Santa Rosa: e i cui coccodé lo avrebbero sicuramente incomodato nella elimazione de' suoi dodecasillabi eroici e di
alcuni tetrametri giambici, ancora
piú difficili dei primi. Solo la serva, dentro quel rugginoso e fulgurato recinto, gli allevava di scondone un qualche pollo immalinconito e pieno
di pidocchi, che risultava poi,
all'atto pratico, assolutamente immangiabile." (da 'La cognizione del dolore' di Carlo Emilio Gadda)
E a Gadda è dedicato questo testo dei Marlene Kuntz, una delle ultime loro cose che sono riuscito ad ascoltare. Correva l'anno 2005!
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