Traduzione: appendi la chitarra al chiodo
prima di annoiare il tuo pubblico!
A trent'anni esatti dalla sua pubblicazione
avvenuta nell'aprile del 1983, 'Murmur'
è un disco che conserva la freschezza propria dei grandi album. Una miscela
esplosiva di melodie sixties filtrate dal punk e dalla new wave che non passò
inosservata. Il disco uscì per l'etichetta indipendente I.R.S., la band -
vivaddio! - aveva rifiutato di inserire assoli di chitarre e di usare
sintetizzatori infischiandosene del mercato discografico che vedeva primeggiare
album come 'Thriller'
di Michael Jackson
e synthpop assortito. Rimanevano fedeli a quel garage-rock nato nei primi anni
sessanta e che costituisce l'età dell'oro del rock a stelle e strisce
(ripassare la formidabile raccolta 'Nuggets:
Original artyfacts from the first psychedelic era' prodotta da Lenny Kaye, futuro
chitarrista di Patti Smith
nel 1970)
Il magazine 'Rolling
Stone' lo elesse disco dell'anno e
da lì in poi non ci fu più posto per il camioncino verde 'Dodge', modello '75 su cui
avevano girato l'America senza soldi ma con le idee ben chiare in testa. Così
ben chiare da sopravvivere allo star-system, che per la verità arriverà qualche
anno e qualche disco più tardi, famelico e strangolatore.
Se non avete ancora indovinato il nome della
band non è colpa vostra ma solo del fatto che il gruppo in
questione è stato capace negli anni altre grandissime gemme, a partire da
quella 'Losing my religion'
del 1991 accompagnata dallo splendido video del regista Tarsem Singh dove si
unisce sincretismo religioso tra divinità indù e martirio cristiano e omaggi a Caravaggio e Tarkovsky: fu quello il
vertice della parabola ascendente dei R.E.M.
di Michael Stipe.
La parabola discendente non è stata meno
importante dal punto di vista artistico: prima il
notturno 'Automatic for the
people' poi il fragoroso 'Monster',
saturo di elettricità e l'appendice di 'New
adventures in hi-fi' composto tra un concerto e l'altro del
seguente tour. Nel 1997 il batterista Bill
Berry, dopo essere stato colpito da un aneurisma, decide che è
tempo di tirare il fiato e abbandona la band. I tre superstiti decidono di non
sostituirlo e l'anno seguente, armatisi di batterie elettroniche, sfornano
l'ancora interessante 'Up'.
Sarebbe stato quello il momento di smettere, ma per l'annuncio dello scioglimento
si è dovuti attendere il 21 settembre 2011. In questo lasso di tempo i tre
hanno composto altri quattro modesti dischi.
A questo punto ringrazio Michael Stipe e soci
di averci evitato dischi stanchi e superflui in
cui avremmo riconosciuto sprazzi di classe e l'eco dei bei tempi che furono. Di
dischi da ascoltare e riascoltare ce ne hanno lasciati un bel po', e per questo
saremo eternamente grati al quartetto di Athens. Aspettiamo ansiosi che tanti
altri nostri eroi facciano lo stesso. Come dichiarò Cary Grant: "Meglio andarsene un minuto
prima, lasciandoli con la voglia, piuttosto che un minuto dopo, avendoli
annoiati".
Post Scriptum: Ho
scelto in coda a quest'articolo non uno dei tanti videoclip ma una rovente
cover di 'Paint it black'
dei Rolling Stones,
uno dei miei pezzi preferiti in assoluto (altra grandissima versione dei primi
anni ottanta è quella dei newyorkesi Feelies,
ascoltare per credere!)
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